Geoneutrinos and geoscience: an intriguing joint-venture
Abstract
Geoneutrinos, the electron antineutrinos originating from the decay chains of uranium and thorium within the Earth's crust and mantle, offer a unique insight into the internal dynamics and composition of our planet.
These elusive particles carry crucial information about the geochemical processes occurring deep within the Earth, thus addressing pivotal questions related to Earth's heat production and its geological evolution. To date, significant experimental efforts, such as the KamLAND experiment in Japan and the Borexino experiment in Italy, have successfully detected geoneutrinos, shedding light on the Earth's internal mechanisms and the distribution of heat-producing elements. These endeavors have paved the way for future investigations, with the upcoming JUNO experiment in China and the SNO+ experiment in Canada poised to significantly enhance our understanding of geoneutrinos. The JUNO experiment, in particular, with its unprecedented sensitivity, promises to refine our knowledge of the radiogenic contribution to the Earth's heat production, offering new insights into the Earth's formation and its thermal evolution.
This seminar will explore the intersection of geoscience and particle physics through the lens of geoneutrino research, highlighting the achievements thus far and the exciting potential of future experiments to further unravel the mysteries of our planet.
Axion thermal production: recent advances and future challenges
Abstract
After reviewing the experimental landscape for axion searches, I will focus on axion thermal production in the early universe, highlighting the recent progresses in the calculation of the axion thermalization rate in the non-perturbative QCD regime. Additionally, I will address the critical theoretical components that are still missing for a robust prediction of the axion's thermal abundance. This understanding is crucial for evaluating the potential sensitivity of next generation CMB experiments.
]]>Small scale CMB (and foregrounds) cosmological information.
Abstract
Analysis of CMB primary temperature and polarisation anisotropies of recent experiments provide the tightest constraints on cosmological parameters. A crucial step of this analysis is the modelling of foreground signals due to the interaction between CMB photons and structures, in their path from the last scattering surface to the observer. Foregrounds are in general modelled with simple templates, obtained e.g. from numerical simulations and at fixed cosmology. These foregrounds though contain cosmological information, as well as information on the astrophysical processes that shape the structure of the recent Universe. A proper modelling of these components can therefore lead to improvement in the general constraining power of cosmological parameters.
In this talk I will focus on the modelling of the Sunyaev-Zeldovich effects (thermal and kinetic, tSZ and kSZ), able to track the hot and ionised gas distribution in the recent Universe.
Adding this full modelling of tSZ and kSZ in the CMB cosmological analysis, combing Planck and SPT observations, I will show the improvement in the cosmological constraining power. I will also describe a Machine Learning approach to provide a fast and accurate evaluation of tSZ and kSZ power spectrum up to very high multipoles.
IL Paleocene Eocene Thermal maximum
Uno dei più importanti episodi di riscaldamento globale del record geologico è il Paleocene Eocene Thermal maximum, PETM, verificatosi ~56 milioni di anni fa, durante il quale una forte immissione di gas serra, per probabile gigantesco rilascio di metano, ha portato ad un innalzamento delle temperature fino a 6-8°C in poche migliaia di anni. Il PETM è considerato un analogo geologico del riscaldamento antropogenico. Come conseguenza del continuo riscaldamento globale, gli oceani attuali mostrano una riduzione del tenore di ossigeno, con severe ripercussioni per gli ecosisitemi marini e per le attività umane collegate. Il PETM ha dato la possibilità di valutare questo importante carattere in un’ottica a lungo termine.
Isotopi stabili dell’azoto e foraminiferi planctonici
Gli isotopi stabili dell’azoto, preservati nei gusci dei foraminiferi planctonici (Foraminifera-bound d15N), consentono di stabilire il grado di ossigenazione degli oceani superficiali e della produttività biologica. Questo importante proxy, di recente applicazione, è basato sul grado di denitrificazione. Questo processo, durante il quale i nitrati sono convertiti in nitrogeno molecolare (N2) dai batteri, avviene solo nelle acque impoverite di ossigeno della cosiddetta oxygen-deficient zones (ODZ). Un calo dei valori di d15N indica scarsa denitrificazione quindi condizioni di buona ossigenazione delle acque.
Un gruppo di ricercatori e ricercatrici internazionali, coordinato dal prestigioso Max Planck Institute for Chemistry (Mainz; Germany) e Princeton University (USA), che vede tra I collaboratori ricercatori dell’Università di Ferrara (Professoressa V. Luciani, Dottoressa Roberta D’Onofrio) hanno applicato lo studio degli isotopi stabili dell’azoto su foraminfieri planctonici del PETM.
I foraminiferi planctonici analizzati derivano da diversi carotaggi delle spedizioni scientifiche Dep Sea Drilling Project e Ocean Drilling Program, attive dalla fine degli anni ’60, che forniscono un archivio imprescindibile per le conoscenze del clima del passato. I ricercatori italiani sono stati supportati anche dal progetto PRIN 2017RX9XXY “Biota resilience to global change: biomineralization of planktic and benthic calcifiers in the past, present and future” di cui V. Luciani ha coordinato l’Unità di Ferrara.
L’ossigenazione delle acque tropicali superficiali al PETM ha evitato un’estinzione di massa
I risultati, pubblicati sulla rivista Science, indicano un’inaspettata contrazione della fascia del minimo di ossigeno nell’Oceano Pacifico tropicale durante il PETM, connessa con un declino della produttività biologica, come dedotto dal calo dei valori di Foraminifera-bound d15N. “Il grado di ossigenazione può aver contribuito a preservare la diversità del biota marino di superficie nonostante l’elevato stress delle alte temperature”, commenta il Dott. Simone Moretti, autore principale dello studio, a differenza della più grande grande estinzione verificatasi nelle comunità viventi sui fondali oceanici al PETM.
Occorre però ricordare i cambiamenti negli ecosistemi attuali derivanti dal riscaldamento globale con il forte contributo delle attività antropiche, si stanno verificando ad una velocità estremamente più elevata di quella del PETM durante i quali gli ecosistemi hanno impiegato più di 100.000 anni per recuperare lo stato precedente l’evento. Gli elevati ritmi dei cambiamenti in corso non consentono di assicurare la resilienza del biota marino, come concludono Simone Moretti ed i coautori della ricerca.
Titolo originale dell'articolo: Oxygen rise in the tropical upper ocean during the Paleocene-Eocene Thermal Maximum, Moretti S., Auderset A., Deutsch C, Schmitz R., Gerber L., Thomas E., Luciani V., Petrizzo M.R., Schiebel R., Tripati A., Sexton P., Norris R., D’Onofrio R., Zachos J., Sigman D.M.,, Haug, G.H., Martínez-García A., Science, February 2024,
DOI: 10.1126/science.adh4893
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